MATERIALISMO RADICALE. ITINERARI ETICI PER CYBORG E CATTIVE RAGAZZE di Rosi Braidotti, Meltemi, 2019

Mentre scrivo questa recensione a Materialismo Radicale[1] si discute globalmente di ecologia e ambientalismi. Il meccanismo della filter bubble che “sceglie” algoritmicamente quali new feeds proporre tramite il dispositivo di visualizzazione complesso e compromesso che è il mio personal computer seleziona post carichi di critiche all’immaginario di cui il sistema politico si nutre. Mi sembra che la cosiddetta crisi climatica sia un faro puntato su capitalismo, patriarcato e antropocentrismo: non tutti gli esseri umani sono ugualmente responsabili della devastazione ambientale e il non-umano resta il gigantesco omesso del dibattito politico.

Ma la “bolla di filtraggio” funziona tendendo ad esporre gli utenti a posture del pensiero loro già familiari: la stampa mainstream saluta con entusiasmo il trend della borraccia contro la bottiglietta usa e getta ma lascia capitalismo, patriarcato e antropocentrismo forclusi, ossia relegati nei rimossi della memoria collettiva e del riconoscimento sociale.

Da un lato, dunque, la riduzione dell’urgenza ecologica allo spazio semantico delle green politics foriere di un piano d’azione incastrato nei limiti del neoliberismo che ci propone consumi più puliti lasciando intatta la visione del soggetto come individuo autonomo e le fondamenta del fare politica; dall’altro invece analisi colte ma spesso sprovviste di una proposta etica leggibile e trasponibile nelle pratiche.

Materialismo Radicale è uno strumento etico-politico utile a saldare la frattura tra pensiero e azione qui ed ora: di qui le ragioni di un’introduzione tanto situata che, nel bel mezzo della crisi ambientale (quindi del patriarcato, dello specismo e del capitalismo), si faccia carico della nostra responsabilità nel fare mondo.

La Parte Prima del testo è una cartografia di due concetti filosofico-politici che finiscono per meticciarsi l’uno nell’altro: quello di corpo e quello di soggetto.

Il corpo è, in Braidotti, un costrutto poroso, nomade, disintegrato che non si riduce alla categoria di oggetto: è un concentrato instabile di forze e intensità materiali che performano la sostanza dell’esistente in un divenire costante che si dà negli e attraverso gli incontri e le mescolanze. Questo corpo è un prodotto processuale mai chiuso, una tecnologia: non è più un intero e non lo è mai stato!

Tale figurazione corporale è il risultato del ripensamento femminista della materia come sociale, non-monolitica, non-fissa che ricorre sempre più spesso nel dibattito contemporaneo in cui Braidotti si situa: se nel 1966 la biologa Lynn Margulis rivela che la cellula nucleata è il risultato di una simbiosi attiva e generativa tra differenti microbi, in Biopolitica dei Corpi Post-Moderni del 1991 Haraway ci mette in guardia sul pregiudizio della solidità corporea e sottolinea che il self e il non/self hanno soglie molto poco nitide. È sempre Haraway in Le Promesse dei Mostri – testo del 1992, recentemente curato e tradotto da Angela Balzano per DeriveApprodi a dichiarare divertita che il sistema immunitario degli umani che convivono con altre specie cambia in relazione a questa prossimità promiscua.

Siamo indotte a porci domande forti: siamo mai stati “individui”? o siamo, forse, il risultato parziale ed in divenire di un processo di evoluzione che non ci separa dall’Altro e dall’ambiente?
La macchinicità dei corpi sfugge alla visione integrata che abbiamo ereditato dal regime della visibilità e dai suoi dispositivi di visualizzazione: Braidotti cerca di semplificarci il lavoro di comprensione e propone di giocare a “rappresentare” il corpo come una cartografia, una mappa, un diagramma. Siamo geografie complesse che eludono le partiture tra individui e insieme: siamo entangled e al contempo entanglement. Siamo il risultato di flussi multi-livello in entrata e in uscita. Tra noi e altri c’è connessione, non il vuoto del primo atomismo!

Ogni corpo è qui parte di una relazionalità da cui è inseparabile epistemologicamente, eticamente e ontologicamente: cambia di conseguenza la risposta alla domanda chi è il soggetto? Lo statuto di soggetto è retto da corpi instabili e dipende dalla materializzazione differenziale di un mondo che non è dato dalle cose in sé, ma dai fenomeni inconfinabili che lo costruiscono e in cui «l’Io non è il proprietario né l’inquilino principale di quella porzione di spazio e di tempo che il soggetto tradizionale occupa» (pag.65).

Conscia del rischio di scivolare nell’a-politicità di un certo postmodernismo, fluido al punto di non trovare più alcuna interfaccia capace di sostenere la respons-abilità, l’autrice chiarisce che la “sua” soggettività, pur rifiutando i rischi delle territorializzazioni vincolanti a tassonomie, categorie o specifici costumi, abita e insieme costituisce un agente etico possibile. Il soggetto nomade a braccetto col corpo in-confinabile regge la sfida poiché è “tenuto insieme” da sensibilità e memoria.

Soggetto è Gaia e anche chiunque la componga, soggetto è chi scrive, soggetti sono i collettivi che frequento. Il soggetto non è imperio umano.

Di più, la porosità dei corpi-soggetto è sinonimo di responsabilità: i corpi perfettamente confinabili e i soggetti moderni monolitici che ne conseguono sono politicamente irresponsabili perché chiusi in un solipsismo individualista senza connessioni e trasposizioni nel comune: per Braidotti solo i soggetti nomadi possono tener conto delle relazioni che lo precedono e costituiscono.

L’autrice e Angela Balzano sono chiare e situate nell’Introduzione: questa ri-concettualizzazione dell’idea di corpo non è mero vizio accademico! Se non riconosciamo il corpo come terreno di battaglia politico, come sistema connettivo-creativo mai chiuso, non sarà possibile un cambiamento dello status-violento-quo in cui abitiamo.

Braidotti e Balzano hanno Spinoza come alleato al passato remoto e come compagne di viaggio le femministe: per tutt* la conoscenza del corpo è un’arma etica da portare nelle collettive, nelle assemblee, nelle piazze, nelle produzioni culturali: partiamo da qui, dicono, e non dalle vette dis-incorporate del pensiero dei Padri! Troppe scienziate e intellettuali, militanti e artiste ci parlano da tempo di nuovi immaginari politici a partire dai nostri corpi, senza però un megafono all’altezza delle loro voci plurali, corali, de-generi! Diventiamo il nostro/loro megafono!

Nella Parte Seconda l’autrice si dedica a una coerente e difficile proposta etica neo-materialista e post-umana, e, a parere di chi scrive, è proprio qui che si riconosce l’eccezionalità politica del  suo lavoro. La sfida è complessa: rendere praticabili i risultati di una certa ponderazione intellettuale nello spazio del fare. Ad emergere è la consapevolezza che, se i soggetti non possono agire come monadi e i corpi non lo sono, la politica deve disfarsi delle sue posture più individualiste. Centro delle pratiche etico-politiche devono diventare gli affetti ossia i risultati dell’incontro di più soggetti lungo soglie del sé sempre differenti: co-diveniamo, co-dipendiamo, co-…

Braidotti non ha remore nell’utilizzo del termine ormai desueto “rivoluzione”, ma ci invita a vedere il processo di sovvertimento dello status quo fuori dagli strumenti concettuali e strategici dell’antropocentrismo/androcentrismo ancora pervasivo nell’immaginario scientifico, politico e culturale occidentale: rivoluzione è affermazione di un’affettività che funziona come un network da cui non si può fare logout.

Una simile politica degli affetti è una forma etica di resistenza ai dispositivi di dominio perché traccia geografie in cui la potenza e il piacere dell’“uno” moltiplicano quelli dell’“altro” secondo le leggi di un’algebra etica inattesa e anti-autoritaria, orizzontale e affermativa in cui utilità e cura si sovrappongono e ri-configurano in una respons-abilità collettiva. Questa è una rilettura femminista situata del pensiero materialista, monista e affettivo spinoziano, in cui si smantellano le tradizionali categorie della politica agita e agibile unicamente nello spazio pubblico e iper-visibile della polis a scapito delle micro-politiche invisibilizzate e marginalizzate come non-sufficientemente-rilevanti: la politica post-umana di Braidotti parla la lingua della materia onnipresente e non del cogito decantato nell’agorà!

Torniamo, qui, alla crisi ambientale: situiamoci con Materialismo Radicale alla mano. L’era geologica in cui ci troviamo – e in cui l’uomo è riconosciuto come “nuova” forza tellurica – costringe a leggere l’ambiente come qualcosa che non è altro-da-noi ma come insieme di forze che ci compenetrano e che noi costituiamo insieme a tutti gli altri esistenti. L’intossicazione planetaria obbliga e riconoscere l’intra-connessione e a farla finita con politiche egoiche e antropocentriche.

Braidotti porta sullo stesso piano – quello dell’immanenza – scale diverse, quella personale, quella politica e quella che chiamerò zoe-logica e ci invita a dismettere la cassetta degli attrezzi dell’Uomo declinato al maschile universale, per poter pensare insieme a un’etica che mescoli queste scale nella consapevolezza del continuum che abitiamo.

Braidotti offre al dibattito critico nuove suggestioni, sintetizzabili, forse, con l’idea di un cosmopolitismo corporeo in cui ciò che è dipende dalle “nostre” azioni e insieme da fattori che prescindono la “nostra” volontà: l’intenzionalità illuminista si stempera nella relazion-abilità, l’autonomia nelle alleanze. Siamo oltre l’eroismo dei padri e persino oltre l’etica della cura della madre: siamo nello spazio semio-materiale della sorellanza in cui responsabilità e limiti, soggettività e connessione prendono il posto di dominio e autorità.

Tra le femministe che accompagnano Braidotti ci sono quelle citate fin dal primo capitolo: le ragazze punk e cattive tra cui spicca La Collettiva Femminista XXX che al grido di Be_come as you are restituisce ai corpi-soggetto la loro queerness indomita come risposta materialista al binarismo sessuale essenzialista sempre troppo vicino alla divisione sessuale del lavoro utile a capitalismo e neoliberismo, e c’è Patricia Piccinini che, con la sua arte ibrida e trans-specie, anticipa il monito harawayano Make Kin, Not Babies per figurare e materializzare un mondo di relazioni affettive, ecologiche, anticapitaliste e non geneticamente determinate: la foto della sua Big Mother (p.51)scimmia papio femmina realizzata in fibra di vetro, silicone, pelle e capelli umani, alta circa 1 m e 70 cm, con un bebè umano tra le braccia – ci obbliga a domande complicate come cosa ha il valore di differenza tra corpi? cosa invece li accomuna? chi si prende cura di chi? chi ha potere con la “p” minuscola, chi il Potere, invece? perché siamo divis* per genere, sesso, razza, specie, regno? chi fa il mondo? il soggetto è per definizione umano? e le risposte sembrano convergere in un gridato «L’antropo-chthulucene è qui e dobbiamo cambiare paradigma scientifico, politico e affettivo! Le femministe lo dicono da tempo: ora tocca a tutti e tutte il compito di un’etica monista, trans*!».

Al loro fianco, non posso/iamo evitare di immaginare una marcia cui si aggiungono – e sempre aggiungeranno – tante altre: dalle donne curde con il loro intento di ripensare i sistemi di sapere per poterci fondare una rivoluzione nuova e finalmente femminista, ecologica e decoloniale, le sex workers che chiedono riconoscimenti contrattuali a partire dal monito per cui ogni corpo conta, i gruppi di self-help tra cui le Women On Waves che dal 1999 aiutano ad abortire nei Paesi con leggi restrittive sull’interruzione di gravidanza, le attiviste di NUDM che combattono per l’autodeterminazione dei corpi di donne, trans, intersex, disabili, migranti senza dimenticare che autodeterminazione non fa mai rima con solipsismo ma sempre con ecologismo e olismo, le/i giovani di FFF, e infine anche chi ha attraversato, attraversa o attraverserà la casa delle donne Lucha Y Siesta che fin dal nome stringe in un abbraccio la proposta che ci fa Materialismo Radicale tramite spinozismo e femminismi: prendersi cura di chi vive con noi e lottare per/con i corpi, accogliendo vulnerabilità e manifestando la nostra forza, i nostri desideri.

La suggestione a pensare una politica che è etica relazionale, affettiva e potenziante, capace dunque di riconoscere ciascuno come parte di una fitta rete di vettori, non si traduce però in un programma. Del resto Braidotti è fedele al suo pensiero e non ne forza i limiti di possibilit/azione: le proposte operative non possono che essere collettive, frutto di dibattiti e sperimentazioni che, come i femminismi ci hanno insegnato, non devono ascriversi a un ipse – in questo caso ipsa dixit.

Se nemmeno la cellula nucleata è priva di socialità, comunanza e collettivo, direbbe forse Haraway con Margulis, come può essere autoriale una proposta politica?

Materialismo Radicale, dunque, è un invito oltreché un testo. Un invito a pensare e agire insieme, senza delega, per hackerare il capitalismo, il patriarcato, l’antropocentrismo e ogni altra forma di esclusione. Per amore del mondo che ci dipende, da cui dipendiamo. Per amore del nostro divenire comune.

Elisa Bosisio in DWF (124) STELLE SENZA CIELO. NOTE PER IL CINEMA, 2019, 4

[1] Avvertenze sulla declinazione di nomi e aggettivi. La declinazione di nomi e aggettivi non rispecchia quella del libro che qui è recensito. Applicando la riflessione femminista sul linguaggio come mediazione tra sistemi di potere, desidero trasformare la lingua sessualizzata e binaria che mi incorpora per vedere e abitare il mondo altrimenti. Decido quindi di declinare certi sostantivi al femminile: accade quando parlo di collettive – e non di collettivi -, seguendo i riferimenti che, nella prima parte del testo, si fanno all’esperienza situata della CollettivA XXX e preferendo, per ragioni politiche, pensare agli spazi materiali e figurati in cui facciamo pensiero e attivismo declinati a un femminile universale non-essenzializzante che s-maschilizzi gli spazi deputati alla politica stessa.

Quando scrivo trans* con asterisco guardo al pensiero di Karen Barad e, in particolare, al suo TransMaterialities: Trans*/Matter/Realities and Queer Political Imaginings. Qui trans* è “più” di transgender; è una trasversalità/ibridità/irriducibilità della materia in sè, anche, dunque, oltre l’umano. Ricollocando Braidotti con Barad entro il cosiddetto neomaterialismo ho pensato di rendere giustizia al suo pensiero femminista, materialista e postumano. Quando, infine, uso l’asterisco per declinare aggettivi come tutt* e divis* adotto la prospettiva della linguistica e della traduzione transfemminista queer inclusiva di e per tutte le soggettività oltre i dualismi di sesso/genere.