SAPER FARE NELLO SPAZIO PUBBLICO, DWF (96) 2012, 4

Editoriale

Un passo indietro, c’è qualcosa da riscoprire.
Lo diciamo così, quasi d’istinto, ma senza nascondere che su questo s’è a lungo meditato o che un lungo percorso ci ha condotte a queste considerazioni.

Nei primi due numeri del 2012 abbiamo dato spazio e voce ad alcune esperienze di “saper fare comune” sparse per tutt’Italia. Ne sono emerse le pratiche di cui queste esperienze sono nutrite; pratiche che si reggono sulle esistenze, sulla condivisione, sui corpi. Questa riscoperta delle esperienze politiche dal basso, in modo così diffuso e potente, porta con sé una enorme critica al modello istituzionale dato, neutro, universale e statico che non riesce da lungo tempo, e chissà per quanto ancora, a rispondere alla richiesta di essere all’altezza delle trasformazioni delle vite.
Tempi lunghi, dunque, perché la critica al modello istituzionale dominante è profondamente legata alla critica ai tipi tradizionali di femminilità, su cui ancora in questo numero interveniamo (vedi in ‘Poliedra’ i pezzi di Leonetta Bentivoglio su Pina Bausch e di Coral Herrera Gòmez, il Manifesto degli amori queer).

Il discorso dominante parla di una politica che si misura solo sulla moneta. Misure altre, come fiducia e responsabilità, sono state dimenticate, e quelle nate dall’esperienza e dai movimenti, come beni comuni o restituzione, sono state assunte dal discorso politico svuotandole del loro significato. È questo lacerante silenzio sulle vite, o questo parlare a sproposito dei governi della crisi, che aumenta la distanza da questo modello e da questa politica. Se da un lato il ritorno a una partecipazione politica dal basso restituisce lucidità nel mettere a fuoco i limiti del modello istituzionale e la sua degenerazione, dall’altro le istituzioni stesse – parte integrante di un sistema che fatica a reggere – possono garantire la durata lunga di diritti, e quindi servizi, che non siamo disposte a perdere. Se negli ultimi decenni abbiamo visto rompersi più di un patto tra Stato e cittadine/i (da quello sulla promessa della piena occupazione a quello sulla salvaguardia dalla privatizzazione di alcuni beni che si pensava fossero inalienabili, come l’istruzione e l’acqua), il sistema – nonostante i tagli e le umiliazioni – non riesce ancora a espellere definitivamente o con leggerezza ciò ne mantiene viva l’utilità sociale, i servizi pubblici.

Ma in questo filo teso così logoro tra Stato e cittadinanza, per tentare di rassettare alcune trame, c’è bisogno di capire da quali servizi pubblici ripartire e cosa di questi si può mettere al centro di una “politica di recupero”, che non si trasformi soltanto, come troppo spesso è accaduto in questi anni, nella sola resistenza ai tagli o in battaglie di retroguardia, ma che punti a ripartire da ciò che funziona e ci piace. Tra queste esperienze ne abbiamo interrogate alcune, quelle che mantengono per loro natura un legame con i territori in cui sono collocate, e che costituiscono e costruiscono ancora e nuovamente lo spazio pubblico in cui si crea scambio, confronto e crescita tra culture differenti. Sono esperienze di servizi pubblici che agiscono e restituiscono alla città il senso del loro esistere: luoghi che aprono orizzonti e in cui la contaminazione e la condivisione delle esperienze è già cittadinanza.

Ripartiamo dalle pratiche di quelle donne che abitano e lavorano in strutture pubbliche – come i consultori – per restituirli alle donne (Bruno, Di Martino); dalle esperienze di chi sfugge alle regole neutre dei tagli di bilancio e della retorica dell’efficienza, che si dimenticano dei corpi, delle terre e delle vite (Veltri, Petrungaro); dai saperi di chi porta con sé una competenza e un bagaglio simbolico femminista nel proprio lavoro e ruolo istituzionale (Storti); dai luoghi in cui si incontrano le differenze, in cui si fa sapere in modi imprevedibili e in cui si costruisce la cittadinanza (Paoletti, Mercandino).
Ma soprattutto ripartiamo dalle donne che gestiscono strutture pubbliche, che le custodiscono e che se ne prendono cura. Non un semplice servizio, ma una irriducibile differenza messa a disposizione della cittadinanza attraverso i servizi, perché l’amministrare – a dispetto di quello che passa ormai nel discorso dominante – non ha a che fare soltanto con il denaro e con indici numerici, ma anche e soprattutto con le relazioni e con la fatica di corpi che ogni giorno fanno vivere in modo sempre rinnovato questi luoghi.

Un passo indietro. Riscopriamo gli spazi di libertà.

(tdm e rp)

Indice

MATERIA

RIAPRIRE I CONSULTORI ALLA CITTA'. L’Assemblea delle donne del Pigneto a Roma
IL LEGAME SOCIALE NON SI RAMMENDA CON LE LEGGI
RICCHEZZA SOCIALE, SILENZIO ISTITUZIONALE. Il Centro contro la violenza alle donne “Roberta Lanzino”
BIBLIOTECHE. Quattro pareti grandi un quartiere

POLIEDRA

GLI SPAZI ANTI-ISTITUZIONALI DI PINA BAUSCH E I CORPI “VECCHI” E “GIOVANI” DI “KONTAKTHOF”
MANIFESTO DEGLI AMORI QUEER DI CORAL HERRERA GòMEZ
FRANÇOISE COLLIN. L’omaggio di DWF

SELECTA

RECENSIONI Lussana/Koch; Ali Farah, Cutrufelli, Peretti, Scego, Vulterini/Stellino; Gribaldo, Zapperi/Fiorino