L’UNA E L’ALTRO. Rappresentazione e autorappresentazione del femminile, NUOVA DWF (16) 1981, Supplemento

Editoriale

A partire dai due termini di rappresentazione e autorappresentazione, viene presentato il doppio taglio dei materiali presentati nel supplemento. Se la gamma delle rappresentazioni delle donne, o meglio, della Donna, ha cercato di definire l’identità femminile e di occultare la pluralità dei volti delle donne e va dunque individuata nelle sue pretese, l’autorappresentazione non si pone, d’altra parte, come un rimedio, un ritrovato rapporto immediato con se stesse: “non sarà quindi semplicemente volgendo la rappresentazione in autorappresentazione che avremo la verità di chi parla e di chi scrive; ma, semmai cercando nelle immagini che sono state date e che si danno del femminile quegli elementi che, non più riconducibili al discorso dominante e codificato, sovvertono i percorsi conoscitivi”.

Indice

PRESENTAZIONE
I materiali che costituiscono questo supplemento erano destinati al primo numero di un'altra rivista che non è mai stata pubblicata. Il titolo avrebbe dovuto essere L'una e l'altro, titolo che indicava l'ambizione di indagare in tutte le pratiche sociali l'impatto di un "effetto differenza", come dicono le presentatrici del numero, che sono Cristina Cacciari, Brunella Dalla Casa, Piera De Tassis, Giovanna Grignaffini, Marina Mizzau, Patrizia Violi. In una nota successiva la redazione di DWF spiega la sua scelta, "il supplemento esprime la nostra disponibilità-volontà di sopperire, per quanto possibile (…) all'ostracismo dell'editoria."
L'OGGETTO ASSOLUTO. Una sciocchezza
Rifiutando una definizione sintetica e unitaria dell'autorappresentazione, l'autrice delinea il tratto specifico della pratica di scrittura, "la scrittura è per sua natura allusiva (…) per chi scrive la parola diviene mezzo per ricuperare l'esperienza vissuta, per ricostruirla in un ordine diverso, che non è più l'ordine dell'immediatamente percepito". È attraverso la "distanza", come ha detto Virginia Woolf, consapevolmente assunta, che una testimonianza scritta, come un diario, diventa un testo vero e proprio. Questa caratteristica viene articolata dall'autrice con un'analisi della differenza tra l'autocoscienza, pratica di autorappresentazione delle donne, e il rapporto analitico: la prima è governata dal principio di analogia e di identificazione e non assume consapevolmente i meccanismi che vi sono all'opera; nell'analisi viene invece elaborata una "distanza amorosa" dal proprio vissuto che ne permette una riappropriazione. La conclusione invita a leggere i testi, non tanto cercando una scrittura femminile, ma tenendo piuttosto conto del punto di vista di chi scrive: Rilke e Emily Dickinson rivelano non a caso punti di vista "così lontani".
SPECCHIO, IMMAGINE, DIARIO
Partendo dalla sensazione di estraneità, di mancato riconoscimento, quando coglie la propria immagine riflessa casualmente, l'autrice indaga i tre momenti della riflessione speculare, della costruzione di un'immagine di sé e del racconto autobiografico nei diari di donne. L'immagine rimandata dallo specchio è un'immagine monca, priva del movimento, e non ha l'apparente completezza che sembra avere l'altro quando lo guardiamo. L'immagine psichica di sé è anch'essa dimidiata, non tanto per una scarsa capacità di introspezione, quanto per la complessità degli elementi che la costituiscono, non solo il modo di autopercepirsi ma anche ciò che gli altri ci dicono di noi. E infine, la rappresentazione di sé nei diari - l'autrice cita quelli di Sibilla Aleramo, di Sofja Tolstoj, di Anais Nin - che si presenta spesso come una risposta o un appello allo sguardo dell'altro, dell'uomo. A questo non sfuggono neanche i romanzi confessione di Erica Jong o di Marie Cardinal, "autorappresentazioni femminili che spesso rispondono collusivamente a aspettative costruite sulla commercializzazione dell'ideologia femminista".
DIARI. Una vita tutta per sé
L'autrice individua una necessità nel "raccontarsi la propria vita", necessità di tesaurizzare le proprie esperienze e farne una storia, necessità che si esplica in particolare nella scrittura dei diari. Chi scrive diari è soprattutto chi ha una stanza tutta per sé da cui guardare e riflettere sulla vita e da cui restituire la "dipendenza amorosa dalla realtà", una dipendenza che porta a registrare sempre più dettagli, sempre più indizi.
AUTOCOSCIENZA, AUTORAPPRENTAZIONE
La pratica femminista dell'autocoscienza è stato il momento in cui "la donna si è per la prima volta autorappresentata in una dimensione collettiva". Una pratica in cui il soggetto dell'enunciazione e il soggetto dell'enunciato coincidevano e che sembrava portare a quella distanza da sé che avrebbe consentito di guardarsi. Ma l'autocoscienza ha anche messo in luce e sondato i limiti della parola.
SCRIVERE IL CINEMA
Esiste una differenza tra scrittura del diario e scrittura in immagine? L'autrice respinge l'idea che esista una scrittura femminile per il cinema, tant'è vero che le donne hanno rifiutato radicalmente qualsiasi canone cinematografico già codificato. Si rintraccia però un repertorio tematico preciso: la quotidianità, le piccole emozioni, i gesti ripetuti e ossessivi. "Il cinema delle donne sembra scendere in campo con una preliminare dichiarazione di ostilità". Raccontare è pericoloso, perché conta su una parola che procede sicura, ed è anche doloroso per quella distanza che si pone tra sé e la propria materia. Nel cinema quella perdita e distanza dall'oggetto che si rappresenta sembra investire il soggetto stesso.
LA VALLE DELLE BAMBOLE
L'autrice, riprendendo le analisi di Laura Mulvey, offre alcune immagini di donne nel cinema degli anni Quaranta e Cinquanta, per far emergere come la feticizzazione del corpo femminile produca un effetto preciso sulla posizione dello spettatore/trice, un effetto di coerenza e di "unità dell'io, che scaturisce dal fatto di indurre autorappresentazioni socialmente accettabili". In queste dinamiche la differenza sessuale ha un ruolo determinante. In Caught di Max Ophüls, la sequenza centrale rivela la donna come luogo vuoto su cui si esercita lo scambio tra due uomini: la donna in quanto segno vuoto è "disponibile a ogni significazione". Con la nascita del genere film noir appare invece la dark lady e "il corpo dell'attrice del film noir, non più relegato ai margini della narrazione o nello spazio rassicurante della famiglia, invade la scena - sessuato - dando a vedere la differenza". L'autrice offre numerose immagini - tra le quali Ava Gardner in The Killers - per mettere in luce come, malgrado un'organizzazione ancora patriarcale delle rappresentazioni, la dark lady rappresenti "una differenza produttiva, uno scarto dalla quotidianità che opera incisioni irrimediabili nella compatta struttura patriarcale".
Le autrici prendono in esame passi dei testi di Paul Julius Moebius, L'inferiorità mentale della donna e di Otto Weininger, Sesso e carattere. I testi producono una variegata gamma di rappresentazioni della Donna tutte però regolate dalla caratteristica dell'essere meno rispetto all'uomo. Sul piano fisiologico e mentale, la donna rivela di essere al di sotto della misura stabilita come normale così che "l'uomo fuori misura è un genio, la donna fuori misura non è più donna". Attraverso alcuni nuclei tematici - la vecchiaia, il lavoro, la personalità individuale, l'educazione - i due autori, per vie diverse, concordano nell'ancorare la donna alla funzione complementare della riproduzione, della naturalità. Punto importante è la condanna dell'idea di un'educazione delle donne, poiché non si danno condizioni né naturali né sociali per considerare l'idea di una donna colta e formata come un vantaggio per la società. La parte finale del saggio è dedicata alle risposte e osservazioni di autrici contemporanee a Weininger - tra le quali Isolde Kurz, Irma von Troll-Borostyáni, Maxie Friemann.
IL LINGUAGGIO DELLA POESIA, IL LINGUAGGIO DEL CORPO
L'autrice parte dalla domanda, "è possibile un linguaggio del femminile, in altri termini, è possibile un discorso-rappresentazione-autorappresentazione, che si ponga fuori dal discorso-rappresentazione maschile?", per rileggere due testi di Luce Irigaray. Irigaray dà una doppia risposta, da una parte rifiuta la rappresentazione che risponde a una logica maschile che si basa proprio sull'esclusione della donna, dall'altra la accetta quando però siano le donne a rappresentare loro stesse. L'autrice sviluppa poi una lettura differenziata delle posizioni di Irigaray con quelle di filosofi quali Heidegger, Husserl e Merleau-Ponty sulla possibilità di una rappresentazione e di un linguaggio corporeo.
JE VOUDRAIS TOUJOURS ÉCRIRE TOUT AU PLURIEL. Incontro con Nathalie Sarraute
L'intervista si concentra sulla narrativa nella produzione della scrittrice, forma breve del racconto, in cui la figura del protagonista scompare, e in cui i vari personaggi esistono solo in quanto poli di una situazione comunicativa. Emerge una peculiare logica pronominale, una logica plurale, "un passaggio continuo dal singolare al plurale".
DANIELLE SERRARA. Pagine di diario
Ci sono poche informazioni biografiche di Danielle Serrera, morta suicida nel 1949. Ciò che si sa di lei è affidato soprattutto a tre quaderni di scuola e a qualche foglio libero. Sono testi che, legati ai modi di un surrealismo graffiante e trasgressivo, "pongono al loro centro l'inquietante presenza di una sessualità femminile tenacemente viva, benché quasi sempre emergente dal sangue e dalla violenza".
PER UNO STREGONE DIECIMILA STREGHE. Note in margine alla mostra "L'altra metà dell'Avanguardia"
Nella mostra, curata da Lea Vergine sono state esposte opere di artiste che hanno partecipato a movimenti pittorici della prima metà del Novecento, dal Blaue Reiter al Surrealismo. L'autrice analizza le opere di numerose artiste - da Marianne Von Werefkin, a Edita Broglio, da Maria Morino a Carol Rama - utilizzando strumenti teorici femministi non necessariamente circoscritti all'ambito della produzione artistica femminile, ma nati per rendere conto dell'esperienza delle donne e della loro posizione in un universo simbolico dominato dal modello maschile. [Foto b/n di opere esposte alla mostra, 12 pp. fuori testo].
TRA I GRANDI PERCORSI ARTISTICI. Adriana Bisi Fabbri
L'autrice restituisce il contesto culturale degli anni in cui Adriana Bisi Fabbri, pittrice dell'inizio del secolo, ha lavorato a contatto con artisti quali Boccioni e Balla. Il testo traccia anche alcune delle tappe della vita dell'artista, intrecciando le sue ambizioni e gli episodi del suo quotidiano. [foto in b/n di 4 pp. fuori testo].
CINEMA/FEMMINISMO. L'esperienza inglese
Dopo aver delineato un elemento comune al cinema delle donne internazionale - da una parte la ricostruzione di una storia delle donne nel cinema, dall'altra, lo sviluppo di una teoria della specificità di linguaggio nei film delle donne - l'autrice concentra l'analisi sul cinema indipendente in Gran Bretagna. Nato nel 1972 il London Women Film Group, il movimento lavora alla definizione di uno specifico filmico, occupandosi al contempo di nuovi modi di distribuzione e esibizione. Il movimento ha così rifutato la ghettizzazione per arrivare poi al momento di unificazione nel 1976 con la creazione dell'I.F.A. (Indipendent Filmmakers Association).
LA CUCINA LETTERARIA
Il breve cappello introduttivo dice: "la gastronomia nella letteratura. Pasti, menù, preparazioni di cibi, banchetti di nozze, cenette intime, ricette (…) Virginia Woolf teorizza l'importanza che il mangiare dovrebbe avere e lamenta che gli scrittori raramente ne parlino, e ciò ci suggerisce l'idea di un'antologia narrativo-culinaria, senza nessun significato secondo". Passi tratti da V. Woolf, G. Flaubert, G. de Maupassant.