PHILOSOPHICAL POSTHUMANISM di Francesca Ferrando, Bloomsbury Academic, 2019

Aperto dalla preziosa prefazione di Rosi Braidotti, il volume di Francesca Ferrando, Philosphical Posthumanism, uscito nel 2019 in lingua inglese per la Bloomsbury Academic, è la rivisitazione e l’aggiornamento di Il Postumanesimo filosofico e le sue alterità, basato sul lavoro di ricerca di dottorato della nostra autrice, altresì insignito, nel 2014, del prestigioso Premio Sainati, approdato in italiano grazie alla traduzione di Angela Balzano e alla pubblicazione della casa editrice pisana ETS nel 2016. Già da questi elementi è possibile percepire il multiverso entro cui si muove Ferrando, concetto chiave di un libro necessario, che propone un ordine — tra i tanti possibili — della galassia delle teorie critiche che mettono in discussione la doxa dell’umanesimo classico. Articolato in tre parti denominate What is Philospphical Posthumanism?, Of Which “Human” Is the Posthuman a “Post”? e Have Humans Always Been Posthuman?, il testo inglese si presenta corredato da l’interessante aggiunta di alcuni strumenti metodologici, come il glossario di domande posto all’inizio di ciascun capitolo e gli interludi posti a chiusura di ciascuna sessione, che lo rendono strumento indispensabile per quant* intendano avvicinarsi alle filosofie post-umane, volendone apprezzare l’eterogeneità di posizioni e la complessità delle possibili ramificazioni.

Leggendo il volume di Ferrando ho rivissuto con gioia il mio primo incontro con il pensiero Postumano, grazie al libro di Rosi Braidotti, presentato a Esc Atelier a Roma nell’Aprile del 2014 e ripreso dall’entaglement con Maria Hlavajova — direttrice artistica del BAK di Utrecht –, il Teatro Valle Occupato e la sua dimensione postumana, intesa come la soggettività intimamente legata alla lotta per i commons e capace di dar forma così a nuove istituzioni. Successivamente è stato esaltante seguirne gli sviluppi nella Posthuman Glossary Summer School di Utrecht nel 2016, così come scoprirne i lati critici, di brand universitario nordeuropeo, e d’altro canto le molteplici genealogie che diffrangono continuamente un armamentario teorico e pratico potente che, se assumiamo un punto di vista femminista, non chiede affatto di essere unificato.

In questa cosmologia, il pensiero Postumano si è configurato come un arcipelago di teorie critiche che mi ha permesso di nominare l’inquietudine e la non coincidenza che percepivo a contatto con il discorso filosofico, di cui, in quanto studiosa dell’arte della narrazione, mi sono innamorata non all’università ma grazie all’attivismo politico. Un’eccentricità imprevista rispetto al sito in cui nasce il discorso, che grazie alla ripetizione millenaria delle griglie patriarcali ha fatto coincidere il proprio soggetto di enunciazione con l’”uomo”, immagine del pensiero apparentemente universale, neutra, inclusiva, in realtà costrutto culturale che impone l’uomo bianco, occidentale, normodotato, eurocentrico, proprietario di case, macchine, donne e bambini, quale misura di tutte le cose, e al cui cospetto ciascun “altro” parte in svantaggio, svalutato e manchevole di una pienezza soggettiva non prevista dal modello dell’Uomo Vitruviano, tutto dualismi e dicotomie, a partire dalla separazione tra filosofia e narrazione.

In questo quadro la lettura del doppio volume di Ferrando — nella sua versione italiana e nella versione inglese aggiornata — è fondamentale per tracciare un percorso critico che fa chiarezza sul rapporto tra Postmoderno e Postumano, così come sulla differenziazione interna dello stesso Postumanesimo, disegnando connessioni e differenze sia con l’Antiumanesimo che con il Transumanesimo. L’umano, la tecnica, il regno animale, l’Antropocentrismo, l’Antropocene, Bios e Zoe, sono tutti ambiti che Ferrando terremota dall’interno, mostrando come il Postumanesimo Filosofico si configuri sia come post-centrismo che come un post-esclusivismo, per approdare a una prassi radicalmente post-dualista, demistificando ogni polarizzazione ontologica grazie alla pratica postmoderna della decostruzione.

Il volume di Ferrando mostra efficacemente come, ad esempio, a differenza dell’approccio transumanista — caratterizzato da tendenze tecno centriche –, il Postumano sia un approccio filosofico all’altezza dell’era dell’Antropocene, poiché collega ecologia e tecnologia, e al contempo prende le mosse dalle critiche al tradizionale discorso sulla techné perorate dalle epistemologie femministe e postcoloniali. Il punto di contatto tra questi diversi mondi è la radicale decostruzione dell’umano e della sua staticità concettuale, che Ferrando legge alternativamente seguendo le sue qualità dinamiche, perfomartive e in divenire, ovvero la dimensione della differenziazione continua delle specie, umane e non-umane. La riflessione sulle tecnologie serve allora all’autrice per mostrare come la natura e la tecnologia siano legate onto-epistemologicamente e non separate da una netta opposizione.

Per comprendere il cambio di paradigma di una filosofia radicalmente post-dualista può essere utile soffermarsi brevemente su un concetto proposto dai biologi Maturana e Verela e sulle conseguenti critiche all’aspetto specista e sessista. Sulla scia di Katrine Hyles, Ferrando recupera infatti il controverso concetto di “autopoiesi” per ridefinirlo attraverso il prospettivismo nietzschiano, e approdando in questo modo all’ontologia relazionale postumana di Karen Barad e al Nuovo Materialismo femminista. Tuttavia, per evitare di cadere in una visione nuovamente antropocentrica per via della centralità vitalista, — di cui Ferrando critica anche la “materia vibrante” di Jane Bennett, in quanto darebbe adito a una dicotomia tra materialità e materia –, e ponendosi al di là delle categorie di bene e male, la nostra autrice sottolinea, discute e complessifica l’ontologia relazionale di Barad attraverso un approfondimento filosofico e scientifico della Teoria delle Stringhe propria della Fisica Quantistica. In questo modo, ovvero grazie al connubio tra il “realismo agenziale” di Barad e il concetto di “Paesaggio” di Leonard Susskind, eccoci arrivare all’ipotesi del “multiverso”.

Articolando tale ipotesi con strumenti scientifici e filosofici è interessante altresì soffermarsi sul gancio che Ferrando propone con il “perturbante” di Sigmund Freud. Un riconoscimento del sé straniato nell’alterità che sarebbe proprio l’angoscia di una percezione di un’esistenza multiversale, e che le epistemologie tradizionali si sono affrettate a ridurre al medesimo, come mostra appunto la dinamica del doppio descritta da Freud. Di altra natura è invece il multiverso postumano, che non si configura come una compresenza effettiva di tutti i mondi possibili, quanto piuttosto di una molteplicità di mondi prodotta dalla stessa energia/materia che costituisce la nostra dimensione, la quale ne starebbe costituendo molte altre, articolate prospetticamente e differenzialmente. Il multiverso postumano è dunque basato sulla decostruzione materiale della dicotomia sé/alterità, per pensarlo nel Paesaggio di ciascun qui e ora, mai univoco e, piuttosto, genealogicamente connesso al rizoma di Deleuze e Guattari. Sensibilità polimorfiche e desiderio simpoietico trovano così spazio nel multiverso postumano di Ferrando, ma ponendosi anche come un’ipostesi di strutturazione, e non solo come linee di forza o arborescenze. Rintracciamo allora l’agency postumana nella meccanica delle esistenze, coreografate in un movimento pluralistico-monista (o monistico-pluralista) del divenire, composta da riconoscimento e relazionalità e non da attitudini gerarchiche, modelli dualistici e tecniche assimilative.

Il Postumano (senza trattino, come tiene a specificare Ferrando) è tuttavia un’era non ancora attualizzata, ma che si salda con l’approccio simpoietico di Donna Haraway e l’endosimbiosi di Lynn Margulis, poiché riconosce una parentela tra il sangue delle vene umane e l’humus delle vene della Terra. Qui è in gioco non un rovesciamento tra parti opposte e in competizione, quanto una coevoluzione naturculturale che prefigura processi di soggettivazione scevri, finalmente, di identitarismi prevaricatori e non-riconoscenti.

Isabella Pinto in DWF, Scatenate. Quelle che lo sport…, 2020, 1