LA LEGGE DEL MARE di Annalisa Camilli, Rizzoli, Milano 2019

Inquinamento del linguaggio, retorica dell’odio, fake news, politica fatta a colpi di post sui social e hashtag virali. Di questo e tanto altro parla il libro di Annalisa Camilli, del tentativo di ritornare a un giornalismo che non si fa mero megafono della propaganda più spendibile ma tentativo di comprensione e di ricostruzione di una narrazione non solo (e non tanto) fedele ai fatti ma rispettosa della posta etica di volta in volta in gioco. E di elementi da considerare, quando si affronta il tema dell’immigrazione e – nello specifico di questo testo – dei salvataggi in mare lungo la rotta del Mediterraneo centrale, ce ne sono tanti. Si tratta – secondo Camilli – di disinnescare e disarticolare un meccanismo di vittimizzazione del corpo migrante come massa informe e bisognosa. Di criminalizzazione di chi opera i salvataggi in mare. Di deumanizzazione della gestione dei flussi migratori, ridotta a bieca contrattazione, al conteggio dei numeri di sbarchi e morti, a mani di politici italiani ed europei che stringono calorosamente quelle di trafficanti che però sono anche autorità di paesi terzi che per comodità vengono definiti paesi sicuri. Quando si parla di flussi nel Mediterraneo si parla del grande distrattore di massa della politica italiana degli ultimi anni: a fronte di un numero irrisorio di persone arrivate tramite questo canale di ingresso, il discorso politico ha fatto di questo tema la priorità assoluta dell’agenda italiana in materia di immigrazione. Avallando e producendo un clima di mistificazione informativa, in una costante escalation del linguaggio dell’odio: come ci ricorda Camilli, l’informalizzazione del linguaggio politico – che, soprattutto nell’epoca salviniana, viene veicolato sui social network prima ancora che con documenti formali – ha gradualmente imposto una contro-narrazione delle rotte migratorie marittime e dei salvataggi in mare, stravolgendo i parametri ordinari di analisi del reale. Ed è così che le Ong che operano i salvataggi diventano “taxi del mare” e gli operatori e attivisti dei “vice-scafisti”, l’Italia “il campo profughi d’Europa”, i migranti in viaggio dei “crocieristi”. Un inquinamento della narrazione che si salda con l’emersione virulenta di think tank di estrema destra e sedicenti esperti indipendenti afferenti alla cosiddetta galassia sovranista, impegnati nel produrre studi inconsistenti per dimostrare l’invasione causata dalle persone migranti alle porte dell’Europa e gli “oscuri finanziamenti” dietro all’operato delle Ong.

Questa la matassa che Camilli contribuisce a dipanare – a volte in maniera molto didascalica, per stessa ammissione dell’autrice – nel suo libro, snodando l’analisi in tre parti che accompagnano chi legge nella comprensione della partita che si sta giocando sulla rotta del Mediterraneo centrale. Una prima parte che si apre raccontando la storia di Josefa, la donna quarantenne scappata dal Camerun per sfuggire alle violenze perpetrate dal marito e salvata in mare dalla Ong spagnola “Proactiva Open Arms”. Sul suo vissuto e su quello delle altre persone salvate insieme a lei, si gioca da subito una partita sporca, un braccio di ferro tra l’Unione europea, l’Italia, la Spagna che alla fine decide di far sbarcare la nave. L’allora Ministro dell’Interno chiude i porti dal suo account Twitter. Le unghie di Josefa laccate di smalto rosso, messo dal personale volontario della Ong durante la traversata in mare e l’estenuante attesa dello sbarco, sono la miccia che innesca l’odio on line: il salvataggio è una fake news, altrimenti Josefa non porterebbe lo smalto. La narrazione di questo episodio fornisce al lettore una visione d’insieme: gli stati europei che appaltano la gestione della frontiera marittima alla Libia; le vite umane che si muovono nel Mediterraneo sotto l’attacco incrociato e violento delle forze militari libiche e del cinismo degli stati europei; l’odio online che si abbatte su chi migra e su chi salva vite in mare. La seconda parte del libro racconta – a partire dall’esperienza diretta dell’autrice sulle navi che operano i soccorsi –la realtà dei soccorsi in mare, il disinteresse per la vita umana delle autorità libiche e la schiacciante continuità dell’operato dei governi che – seppure di colore diverso – dal 2017 si sono passati il testimone della gestione dell’immigrazione. Ma ci racconta anche delle traiettorie di vita delle persone in viaggio, delle violenze subite e dei desideri inseguiti, rimandandoci la visione di una complessità umana che scardina, appunto, il vittimismo informe a cui la narrazione occidentale sottopone chi decide di migrare. Ci racconta anche delle violenze di genere cui le donne migranti – dalla partenza all’arrivo in Europa – sono sottoposte e a cui riescono a sopravvivere grazie anche al supporto delle loro compagne di prigionia e di viaggio. Ci racconta degli shelter delle navi, gli spazi sottocoperta riservati a donne e bambin*, dove legami umani si intrecciano nel comune intento di sopravvivere e resistere, sfidando l’isolamento. La potenza delle storie di vita delle persone in viaggio rende ancor più agghiacciante la narrazione che l’autrice porta avanti di ciò che si muove sul piano istituzionale per contrastare i flussi: il Memorandum d’intesa con la Libia del febbraio 2017 – che è stato automaticamente rinnovato all’inizio di novembre 2019; il codice di condotta imposto alle Ong che operano in mare nell’estate del 2017; le inchieste del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro – finite nel nulla – ma che hanno contribuito a rafforzare la diffidenza verso i soccorritori, ammiccando a collusioni con i trafficanti e a una provenienza torbida dei fondi. La terza parte del libro, si apre con la ricostruzione della vicenda della nave della guardia costiera italiana Ubaldo Diciotti che, nell’estate del 2018, viene bloccata per giorni al largo di Lampedusa in attesa dell’autorizzazione allo sbarco. Per questo episodio, Matteo Salvini venne accusato di sequestro di persona dal Tribunale dei Ministri di Catania, prima che il Senato votasse contro l’autorizzazione a procedere. A partire da questa vicenda – che ha segnato un punto di svolta assoluto nella gestione degli sbarchi – Camilli analizza e decostruisce la retorica della chiusura dei porti, l’informalizzazione del diritto che si smaterializza in esternazioni su internet, evidenziando inoltre la responsabilità di tutti gli attori politici coinvolti, nessun partito o governo – presente o passato – escluso. Infine, la quarta parte del libro viene interamente dedicata all’opera di demistificazione, punto focale del volume. L’autrice decostruisce le accuse mosse alle Ong, la retorica dell’invasione, la propaganda della chiusura dei porti e l’impianto accusatorio della procura catenese. Traccia una mappa delle Ong, facendo chiarezza sulla loro storia, l’operato e le modalità di finanziamento e azione. E chiude con uno sforzo ulteriore di ricostruzione delle preoccupanti linee di continuità che uniscono la retorica dell’invasione con l’estrema destra europea; la campagna diffamatoria contro le ONG con la galassia sovranista; gli attacchi alla libertà di chi migra con l’avanzare dei movimenti contro i diritti non solo delle persone migranti ma delle soggettività LGBTQI e delle donne. E come tutto questo trovi sponda fertile in molti partiti e governi europei.

Un quadro complesso, un avvicendarsi veloce di eventi, contenuti d’odio veicolati su base quotidiana. Il volume rappresenta, dunque, un contributo prezioso per la comprensione di una delle sfide più pressanti di questa fase storica. Permette di chiarire concetti, di comprendere la posta in gioco, di districarsi nell’evoluzione del diritto del mare e dell’immigrazione senza essere degli esperti. Tornare a capire, a farsi domande e cercare delle risposte anche se non sono quelle più facili e dirette. Sullo sfondo rimane (purtroppo) inespresso il nodo di fondo, la violenza sistemica delle frontiere, marittime e terrestri. Il punto di non ritorno di qualsiasi aspirazione di libertà.

Marta Capesciotti in DWF (123) #FEMMINISTE. CORPI NELLA RETE, 2019, 3