Figlie del padre. Passione e autorità nella letteratura occidentale di Maria Serena Sapegno, Feltrinelli, Milano, 2018

La critica letteraria femminista si interroga su come raccontare la letteratura del passato evitando la gabbia della prospettiva storica, croce e delizia del metodo di studio italiano. Infatti, da una parte l’ipotesi di svincolarsi da un’analisi diacronica permetterebbe di sgombrare finalmente lo spazio ad accostamenti e divari impossibili quando la trattazione segue rigorosamente il succedersi dei testi negli anni. Dall’altra, la difficoltà di mettere da parte l’ordine che il tempo dà alla realtà, quindi estrapolare un’opera da un contesto storico politico determinante, comporta il rischio di un’analisi che ha fronde rigogliose e radici incerte. Nel volume Figlie del Padre Serena Sapegno propone un’analisi ben salda su entrambe le traiettorie: la sua trattazione segue un ordine cronologico che le permette, appunto, di inserire la sua ricerca in un panorama storico e culturale connotato e in evoluzione, mantenendo il focus su un tema, quello della relazione padre-figlia nella letteratura. Tertium datur è la componente internazionale dello studio che considera testi italiani, europei e non solo.

La scelta del tema, come scrive l’autrice nell’introduzione, ha una derivazione autobiografica – e un’analisi autobiografica di quegli anni Sapegno l’aveva fatta anche nel testo collettaneo Baby Boomers: Vite parallele dagli anni cinquanta ai cinquant’anni.

Sapegno ha partecipato attivamente al movimento del ’68, è stata quindi protagonista di una lotta politica epocale che aveva tra i suoi obbiettivi polemici principali proprio il padre, nel senso del babbo, ma anche come Legge. Il movimento, però, era composto di giovani che poi nella pratica quotidiana rifiutavano la madre in primo luogo.  Per esempio, in Autoritratto di gruppo troviamo un paragrafo che si intitola proprio “Il rifiuto della madre”. A partire, infatti, dalle testimonianze di ragazze e ragazzi che avevano partecipato al movimento studentesco e operaio del 1968, Luisa Passerini non può che notare che la costante nei racconti relativi all’infanzia e ai rapporti familiari è la negazione della madre. Mentre il padre, che sia un eroe positivo oppure un nemico giurato, campeggia come protagonista assoluto, la madre è sempre in secondo piano, in un’istantanea infinita che la ritrae intenta al governo della casa e quindi esclusa da dinamiche politiche e di potere.

Sapegno, però, supera da subito l’istanza autobiografica perché il testo è un’opera di critica letteraria, è frutto di uno studio tenace a cui l’autrice si è dedicata per anni, di una ricerca che mostra la combinazione virtuosa di un metodo rigoroso e di un amore entusiasta e vorace per la lettura. Il tema del rapporto tra padre e figlia in questo volume è in primo luogo il focus attraverso cui analizzare testi che vanno dalla Bibbia alla mitologia greca, per passare a Boccaccio, Shakespeare, Metastasio, Jane Austen… Sono solo alcuni, una selezione casuale e davvero ridotta all’osso, degli autori e delle autrici di cui Sapegno ci propone brani e letture critiche. Attraverso questa ricchissima sequenza analitica il tema dell’incesto si trasforma così dall’amore appassionato della Mirra di Ovidio alla possessività di Tancredi nella novella di Boccaccio, passando per il personaggio di Père Goriot e citando anche Renato, il padre inaffidabile a cui Rossana Campo ha dedicato un romanzo autobiografico nel 2015. Qui viene messo in luce come la vena artistica dell’autrice dipenda molto dall’avere avuto un genitore alcolista, dedito ai vizi, che la bambina ha potuto salvare solo immettendo quella stessa spregiudicatezza nei suoi testi e vivendo distante migliaia di chilometri da lui.

Utilizzando la lente di questo tema, Sapegno riesce a non essere mai fuori fuoco, anche quando amplia il campo d’indagine. È evidente, infatti, che interviene una trasformazione profonda nella possibilità di raccontare l’incesto già nel passaggio dalla letteratura classica e che ogni epoca ha saputo informare in modo diverso il racconto a volte anche della stessa storia, come risulta dal parallelismo molto interessante tra la Mirra di Ovidio e quella di Alfieri. La portata del tema, però, non si espande solo perché segue i contorni della sua espressione nelle diverse epoche e scritture, ma perché il rapporto padre-figlia contiene in sé anche i modi in cui una donna si confronta con il potere costituito, con l’autorità, con la legge appunto.

Proprio nel 1968 venne pubblicato in Francia La mort de l’auteur di Roland Barthes, in cui a partire da un’istanza critica per la quale uccidere l’autore significava donare il testo al lettore e aprirlo alla totale libertà di interpretazione, Barthes invoca anche la morte del Critico, dell’Accademico, fino, appunto, a quella del Padre. Sapegno è molto abile, però, nel non concedersi mai a considerazioni che abbiano il gusto della soluzione, della ferma certezza che fonda ogni rivoluzione: l’autrice procede ancorata ai testi letterari che per natura non possono che fornire esperienze vaste e diverse, ambiguità e complessità, fallimenti e rinascite, raccontare gli inganni. La verità: “la riflessione, niente affatto scontata, su come in effetti si configuri la forza di una donna, e la sua debolezza, sulle alternative possibili all’identificazione maschile, è amara e prive di risposte certe”.

Si delinea così, per esempio, nel capitolo dedicato alla letteratura dell’800 una netta contrapposizione tra le figlie “non madri, amazzoni virilizzate, androgine e indipendenti” e le donne che invece aderiscono a una mistica della femminilità. Dicotomia questa fondamentale in tutta l’analisi di Sapegno e che ritroviamo in ricomposizioni imperfette proprie anche alle personagge più amate, come Jo di Piccole Donne, che “esprime limpidamente la totale identificazione con il maschile: l’adesione ai valori paterni diviene la strada indicata per l’emancipazione femminile”. La Artemisia Gentileschi di Anna Banti, invece, quando dopo molti anni di studio e di dolore viene chiamata alla corte d’Inghilterra e il padre visionando i suoi quadri le concede il suo ossequio, si sentirà “talmente figlia del padre da non essere forse più una donna”. Infatti, la scrittrice racconta i pensieri di Artemisia in quel momento descrivendo la consacrazione definitiva come distacco dall’identità femminile e approdo per l’artista al titolo di “pittore”.

Memorabile anche la ripresa del primo romanzo autobiografico di de Beauvoir Memorie di una ragazza per bene, di come Simone sia stata spinta proprio dal padre a identificare la perfezione umana in un ibrido che ha “il cervello di un uomo e il cuore di una donna”. È interessante, infine, la eco che ancora fa nelle vite delle lettrici contemporanee il racconto di padri che possono amare delle loro figlie solo la parte intellettuale, a causa di una repressione che affonda le radici nella costruzione stessa della nostra civiltà e quindi della nostra letteratura. Per tutte le ragazze e i ragazzi del mondo vale poi la poesia di Rodari per la figlia Paola, che ricorda l’importanza “dei no che mi dovrai dire – per essere giusta con te stessa”.

Laura Marzi in DWF (117-118) Palestina. Femminismi e Resistenza, 1-2, 2018