Avere potere su se stesse: politica e femminilità in Mary Wollstonecraft, Carlotta Cossutta, Edizioni ETS, 2020

Che cos’è una donna? Che cosa rende “donna” una donna? Quali sono i rapporti di potere che permettono di pensare il “soggetto donna” e quali quelli che materialmente lo costituiscono?

Una prima rivendicazione che emerge dalla lettura che Cossutta fa delle opere di Wollstonecraft è la possibilità per la donna di essere un soggetto politico e di considerare la femminilità come concetto politico. L’obiettivo del libro, come dichiara l’autrice, è quello di analizzare pensiero e opere di Wollstonecraft dalla prospettiva della filosofia politica e a partire dal ripensamento dei confini tra privato e pubblico attuato per la prima volta dall’autrice inglese, che sostiene la porosità tra identità sociale e configurazioni politiche e consente di ritenere l’identità femminile come esito dell’educazione ricevuta: come risultato, quindi, di un processo storico e non di un dato biologico.

Leggere Wollstonecraft, come sostiene Cossutta, aiuta a capire come il femminismo non si possa considerare un movimento fatto di ondate progressive e lineari, ma ci siano «domande costanti che fungono da operatori di discorsi femministi» (p.24) e come nella ricostruzione di una genealogia femminista prima del femminismo – in cui alcune autrici trattavano di argomenti simili senza che ci fossero relazioni o coordinamento tra di loro – il tema dell’educazione sia il modo per mettere in discussione la supposta inferiorità naturale delle donne. Ecco che educare è, allora, un gesto politico che si riferisce a un campo più ampio della sola istruzione perché riguarda la totalità dei modi di socializzazione. È fondamentale notare come la proposta di Wollstonecraft non sia che le ragazze possano avere accesso alla stessa educazione dei ragazzi: il progetto di riforma è radicale e, secondo Cossutta, rivoluzionario – tanto da arrivare a sostenere la necessità di un sistema scolastico nazionale per abolire l’inaccessibilità all’istruzione su base di genere e classe.

Il libro dedica pagine importantissime al corpo, alle virtù negative – basate sulla sopportazione – e alla vanità femminile, frutto di un’educazione come addestramento all’inferiorità che rende le ragazze docili e schiave dello sguardo maschile e impone loro una concezione del corpo – debole – come gabbia da rendere attraente per gli uomini. Attraverso il paragone tra i soldati e le donne si mostra come la differenza non sia naturale, ma il prodotto di un processo di soggettivazione attraverso il quale si apprendono i comportamenti da attuare. Ne deriva che questi soggetti non possono essere autenticamente virtuosi, dal momento che si limitano a praticare modelli imposti e non sviluppati mediante ragione: la virtù, infatti, oltre a non essere innata, è tale solo se raggiunta tramite la ragione ed è, quindi, conseguenza di una scelta, di una disposizione attiva e libera. Inoltre, la virtù è radicata nelle passioni – dato che le consentono di essere un’abitudine che si rinnova di continuo e sono la linfa che nutre la ragione – e nei corpi – poiché questi rendono possibile l’esperienza e, di conseguenza, la conoscenza.

La modestia è la virtù per eccellenza e consente di accrescere le altre ed è ciò che, secondo Cossutta, rende possibile intendere Wollstonecraft, più che come una pensatrice liberale che si concentra solo sulla rivendicazione dei diritti, come iniziatrice di un progetto politico che cerca di costruire una società diversa a partire dall’esperienza delle donne: in questo, ci sarebbe in nuce la differenza femminile come imprevisto. La filosofa inglese, oltre a non essere presentata come antesignana del femminismo liberale, viene accostata al repubblicanesimo in considerazione della sua concezione di libertà come assenza di dominio che ben si condensa nella speranza che le donne non abbiano «potere sugli uomini ma su loro stesse» (p.86). La non libertà delle donne deriva dalla dipendenza dalla volontà arbitraria degli altri, ma la rivendicazione di indipendenza non scade nell’individualismo: gli individui devono essere inseriti in una comunità nella quale l’amicizia – intesa come legame tra pari – sia la base per costruire la politica. Il valore dell’amicizia, quindi, è molto diverso dai legami che le donne sono costrette a creare sulla base del pettegolezzo e nelle quali l’assenza di virtù non consente di creare rapporti fondati su riconoscimento e stima.

Sostenitrice dell’abolizione della schiavitù, la pensatrice inglese vede il matrimonio come situazione non molto dissimile dal mercato degli schiavi: si tratta di due istituzioni che sanciscono per legge la disparità di potere tra le parti in causa. Anche se le donne scelgono di sposarsi, infatti, lo fanno in un sistema in cui sono plasmate a vivere in funzione degli uomini e, qualora rifiutassero il matrimonio, sarebbero escluse dalla società e in difficili condizioni materiali.

A tal proposito, Cossutta ripercorre anche l’interessantissima posizione di Wollstonecraft rispetto al sistema economico che sfrutta ed esclude le donne e in cui la distribuzione diseguale delle risorse è considerata ingiustizia immediata che alimenta infelicità futura. La crescita economica è un rischio: in contrapposizione a essa, si propongono l’abolizione dei principi ereditari, la frammentazione delle terre in piccoli appezzamenti e l’adeguamento dei salari rispetto al lavoro svolto. Come possibile alternativa all’accumulazione economica mercantile, viene proposta la vita nei cottage che diventa modello per immaginare e praticare nuovi modi per vivere insieme.

Questo libro, oltre a essere un’appassionante e fondamentale rilettura delle opere, della vita, del pensiero di Wollstonecraft, è un’occasione preziosissima di riflessione e confronto per i femminismi attuali al fine di smantellare il già detto a partire dalla risposta alla domanda iniziale “che cos’è una donna?” che per Cossutta è categoria scivolosa che consente di dire noi e costituirsi come soggetto politico, ma la cui definizione è operazione escludente e creatrice di rapporti di dominio – anche nelle relazioni tra donne. Più che considerare il complesso intreccio (di storia, cultura, geografia, condizioni materiali) che forma l’esperienza femminile come punto di partenza a cui ancorarsi, questo testo propone di intendere la differenza femminile come sempre a venire, perché il punto di partenza è «il prodotto di un’oppressione che si vuole sovvertire» (p.198).

Valentina Riolo in  FEMMINISMO Q.B., DWF (133) 2022, 1